
Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 22353/15) è illegittimo il licenziamento in caso di utilizzo per scopi personali del pc, delle email o della rete aziendale durante l’orario di lavoro.
Questo tema è già stato affrontato dal Garante della Privacy e dalle regole di condotta previste nel vademecum che ogni dipendente dovrebbe, a nostro avviso, leggere. I confini ormai dei controlli a distanza, anche dopo la modifica dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, sono piuttosto ben definiti e lo stesso Garante si è più volte espresso sulle “garanzie di segretezza” di cui godono, per esempio, le email.
La Corte giustifica l’illegittimità del licenziamento perché è difficile quantificare a livello temporale l’utilizzo della navigazione internet e della posta elettronica e quindi il “danno grave” all’attività produttiva contestato al lavoratore viene meno.
Ciò che è interessante sottolineare in questa vicenda è cosa sarebbe accaduto se il lavoratore fosse rientrato nelle tutele crescenti del Jobs Act. Mentre nel caso discusso c’è stato il reintegro del lavoratore, la nuova disciplina prevede nel caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, soggettivo o per giusta causa, la conferma del recesso a fronte di un’indennità che viene calcolata in due mensilità per ogni anno di anzianità (per un massimo di 24 mesi).
Tuttavia nel caso il giudice riscontri, come in questo caso, l’insussistenza del fatto materiale dimostrata in giudizio, il datore di lavoro deve pagare le retribuzioni spettanti dal licenziamento fino alla reintegrazione (comunque non più di 12 mensilità) e il lavoratore può scegliere tra l’essere reintegrato nel posto di lavoro o farsi pagare 15 mensilità oltre al risarcimento appena citato.
[Aggiornamento del 19/06/2017] Visti i numerosi cambiamenti degli ultimi anni, sul blog abbiamo pubblicato un quadro chiaro delle sanzioni al datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, con e senza Jobs Act e dopo la riforma della pubblica amministrazione.