Contratto Lavoro

Assegno di ricollocazione

L’assegno di ricollocazione prende ufficialmente il via dal 3 aprile 2018. Ora chi è disoccupato può contare su un importo medio di 3.500 euro da utilizzare per ritrovare un posto di lavoro.

Questo assegno è previsto dal Jobs Act e fino ad oggi era stato solo sperimentato su una platea ridotta di disoccupati. A partire da aprile  tutti quelli che ne hanno diritto potranno richiederlo per cercare un posto di lavoro attraverso i centri per l’impiego o le agenzie per il lavoro.

I requisiti per ottenere l’assegno di ricollocazione sono:

  • aver ricevuto la NASpI da almeno 4 mesi
  • chi ha diritto al Reddito di Inclusione con stipula del patto di servizio
  • lavoratori impiegati in aziende in crisi, ad esempio in cassa integrazione straordinaria

L’importo varia dai 250 ai 5.000 euro e varia in base al profilo del disoccupato e dalla difficoltà di ricollocare il lavoratore. Sono valutati elementi come il luogo di lavoro o la formazione.
I lavoratori che usufruiranno di questo incentivo riceveranno un accredito e potranno presentarsi in un ente, anche patronati e consulenti del lavoro. Se la procedura va a buon fine, cioè al disoccupato viene fatto un contratto di lavoro, allora l’ente o agenzia riceveranno la quota dell’assegno di ricollocazione.

[Aggiornamento del 02/02/2019] Vista l’istituzione del Reddito di cittadinanza (DL 28 gennaio 2019 n. 4) l’Anpal ha comunicato che non è più possibile richiedere l’assegno di ricollocazione.


[Aggiornamento del 17/05/2018] L’Anpal ha comunicato che a partire dal 14 maggio 2018 è entrato a regime l’assegno di ricollocazione.


[Aggiornamento del 12/04/2018] Sono emersi alcuni problemi sui sistemi informatici e quindi l’avvio dell’assegno di ricollocazione è stato rinviato a inizio maggio.

Licenziamento illegittimo

Con il passare degli anni e delle riforme del lavoro, il quadro delle sanzioni in caso di licenziamento illegittimo è molto cambiato. I due strumenti principali, la reintegrazione nel posto di lavoro e l’indennità economica si applicano in modo differente tra privato e pubblico e soprattutto per chi è stato assunto con la Riforma Fornero o con le tutele crescenti del Jobs Act.

Settore privato

  • Aziende con più di 15 dipendenti 
    • Assunti prima del 7 marzo 2015
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare) è previsto il reintegro nel posto di lavoro e un’indennità di massimo 12 mesi se il fatto non esiste oppure solo un’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità 
      • In caso di giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico individuale) o procedura di licenziamento collettivo è prevista solo l’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità 
    • Assunti dopo il 7 marzo 2015 (tutele crescenti)
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo è previsto il reintegro nel posto di lavoro e un’indennità di massimo 12 mesi se il fatto non esiste oppure un’indennità per ogni anno di lavoro pari a 2 mensilità con un minimo di 4 e un massimo di 24
      • In caso di giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico individuale) o procedura di licenziamento collettivo è prevista solo un’indennità per ogni anno di lavoro pari a 2 mensilità con un minimo di 4 e un massimo di 24
  • Aziende con meno di 15 dipendenti
    • Assunti prima del 7 marzo 2015
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) è prevista, a scelta del datore di lavoro, la riassunzione o un’indennità compresa tra 2,5 e 6 mensilità (parziale incremento in caso di lavoratori con molta anzianità)
      • In caso di procedura di licenziamento collettivo non è prevista alcuna indennità
    • Assunti dopo il 7 marzo 2015 (tutele crescenti)
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) è prevista un’indennità pari a 1 mensilità per ogni anno di lavoro (minimo 2, massimo 6)
      • In caso di procedura di licenziamento collettivo non è prevista alcuna indennità
  • Licenziamento discriminatorio: in caso di licenziamento illegittimo dovuto a discriminazione politica, religiosa, sindacale, razziale, di lingua, orientamento sessuale o per matrimonio/maternità è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse meno i redditi percepiti nel frattempo

Settore pubblico

  • Licenziamenti prima della riforma del pubblico impiego (Madia)
    • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) o di procedura di licenziamento collettivo è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse meno i redditi percepiti nel frattempo
  • Licenziamenti dopo della riforma del pubblico impiego (Madia)
    • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) o di procedura di licenziamento collettivo è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse con il limite a 24 mesi, a cui vanno eventualmente sottratti i redditi percepiti nel frattempo
  • Licenziamento discriminatorio: in caso di licenziamento illegittimo dovuto a discriminazione politica, religiosa, sindacale, razziale, di lingua, orientamento sessuale o per matrimonio/maternità è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse meno i redditi percepiti nel frattempo
Lavoro autonomo

Sono molte le novità che il Jobs Act del lavoro autonomo introduce per gli oltre 2 milioni di professionisti in Italia.

Le misure destinate a professionisti iscritti agli Albi, partite Iva e collaborati introducono maggiori tutele su molti temi cari ai lavoratori autonomi. Dopo l’approvazione della Camera il 9 marzo 2017, ora il Ddl passa al Senato.

Vediamo in dettaglio le principali novità:

  • Malattia: in caso di malattia o infortunio, se si svolte un’attività lavorativa continuativa, il rapporto di lavoro non si estingue e può essere sospeso fino a 150 giorni. Nel caso di eventi gravi si può anche sospendere il versamento dei contributi fino a due anni
  • Maternità: viene esteso da 3 a 6 mesi la durata del congedo parentale che ora si potrà utilizzare fino al terzo anno del bambino
  • Pagamenti: diventano illegali le clausole che consentono al committente di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali o contratti che prevedono il pagamento ad oltre 60 giorni dall’emissione della fattura
  • Formazione: diventano totalmente deducibili, nel limite massimo di 10mila euro, le spese per l’iscrizione a master, corsi di formazione o aggiornamento, convegni e congressi. Il limite della deducibilità scende a 5mila euro annui in caso di spese legate a certificazioni, orientamento e attività a sosteno dell’autoimprenditorialità
  • Appalti: le pubbliche amministrazioni possono promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici o ai bandi per l’assegnazione di incarichi specifici. Inoltre è possibile accedere ai piani operativi regionali e nazionali che utilizzano i fondi europei
  • Dis-Coll: grazie ad un’altra modifica la disoccupazione per i collaboratori a progetto diventa strutturale e viene estesa anche ad assegnesti e dottorandi di ricerca con borsa di studio (previsto un incremento di aliquota contributiva dello 0,51%)
  • Smart working: ai professionisti che lavorano in modalità “agile” non potrà essere corrisposto un compenso inferiore a quello dei colleghi che svolgono le stesse mansioni in azienda. Inoltre vengono disciplinati i tempi di riposo (diritto alla disconnesione)
  • Invenzioni: già previsto per i lavoratori dipendenti, viene esteso anche a quelli autonomi il diritto di utilizzazione economica degli apporti originali e delle invenzioni realizzati durante il rapporto di lavoro
Scarica il testo (pdf) del Ddl sul lavoro autonomo.


[Aggiornamento del 23/08/2017] Dal 1 luglio 2017 continua la disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa grazie ai fondi trovati dal Jobs Act dei Lavoratori Autonomi.


[Aggiornamento del 11/05/2017] E’ stato definitivamente approvato al Senato il disegno di legge che prevede le tutele per il lavoro autonomo.

Corte di giustizia UE

E’ una questione importante, soprattutto in questi anni di crisi del lavoro, quella dell’uso e dell’abuso dei contratti a tempo determinato. Ogni stato membro ha le sue regole e leggi ma quanto deciso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (causa C-16/15) è un monito di rilievo per tutti e una boccata di aria fresca per tutti i precari soprattutto nel settore pubblico.

La sentenza del 14 settembre 2016 si riferisce ad un’infermiera spagnola che è stata rinnovata per sette volte con contratti a tempo determinato. Qui la Corte riprende l’accordo quadro tra gli stati che mira a prevenire l’abuso dei contratti a tempo soprattutto nel caso questi siano relativi ad esigenze permanenti e non provvisorie.

Come già detto ogni stato ha le sue leggi. Per l’Italia il Jobs Act ha codificato la disciplina del tempo determinato per venire incontro alla situazione dei precari:

  • limite di 36 mesi 
  • massimo 5 proroghe, nell’arco del limite dettato sopra, in caso si riferiscano alla stessa attività lavorativa

La prevenzione dell’abuso di una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato è uno dei capisaldi dell’accordo quadro firmato anche se poi sono i singoli stati a definire nel dettaglio tempi e modalità. 

Sorvolando sulla questione spagnola, qui in Italia è bene ricordare che ci sono diversi casi in cui sia l’accordo europeo, sia la legge italiana non viene rispettata sul tema dei rinnovi di contratti a tempo determinato. Parliamo per esempio di quanto accade nel settore sanitario e in quello scolastico, dove oggi molti lavoratori pubblici continuano una lunga trafila di precariato nonostante l’esigenza strutturale della loro attività.

Stiamo a vedere se la sentenza riuscirà a portare risvolti positivi nel mondo del lavoro italiano e non solo.

Scarica il testo (pdf) della sentenza della Corte di Giustizia UE.

Licenziamento collettivo

La procedura di licenziamento collettivo è cambiata molto nel corso degli ultimi anni. Prima con la Riforma Fornero, ora con importanti novità che saranno attive dal 1 gennaio 2017.

Dal prossimo anno, nel caso di procedura collettiva di riduzione del personale, non ci saranno più le liste di mobilità. Quindi di conseguenza il lavoratore non percepisce l’indennità di mobilità ma soltanto la NASpI: per massimo due anni i lavoratori soggetti a licenziamenti collettivi potranno avere l’indennità di disoccupazione il cui valore è basato sulla retribuzione precedentemente percepita.

Per chi ha poco chiari i criteri del licenziamento collettivo, bisogna dire che negli ultimi anni c’è stata la tendenza a privilegiare il criterio unico legato all’età anagrafica, cioè quello di prossimità al pensionamento. Vengono cioè licenziati “con priorità” i lavoratori con più anzianità.

Tra le altre cose da segnalare a partire dal 1 gennaio 2017, c’è anche quella relativa alla forma scritta della procedura di licenziamento. In poche parole la riduzione collettiva del personale deve essere formulata per iscritto alla Direzione Regionale del Lavoro con l’elenco dei lavoratori impattati e i criteri di scelta, che ora più che mai devono essere trasparenti. In questo caso poi deve essere riconosciuto anche il preavviso, come previsto dal CCNL applicato.

Da ricordare inoltre che con il nuovo anno vengono meno anche le agevolazioni contributive che venivano date ai datori di lavoro che assumevano i lavoratori nelle liste di mobilità per licenziamento collettivo. Come già detto sopra, dal 1 gennaio 2017 non esisteranno più le liste e quindi anche le agevolazioni che hanno favorito la ricollocazione dei lavoratori cesseranno.

[Aggiornamento del 19/06/2017] Visti i numerosi cambiamenti degli ultimi anni, sul blog abbiamo pubblicato un quadro chiaro delle sanzioni al datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, con e senza Jobs Act e dopo la riforma della pubblica amministrazione.

L'orario di lavoro nei contratti di solidarietà difensivi

Per i contratti di solidarietà difensivi un interpello (n. 14/2016) del Ministero del Lavoro  ha chiarito alcuni punti sull’orario di lavoro e per il passaggio da tempo pieno a part time.

Cosa accade con i contratti di solidarietà difensivi? In pratica si stabilisce una riduzione dell’orario di lavoro per un determinato numero di dipendenti per evitare così una riduzione o esubero di personale.

Rispetto al passato questi tipi di contratti sono stati modificati dal Jobs Act: ora infatti la riduzione media oraria non può essere superiore al 60% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile, e comunque non può essere superiore al 70% per l’intero periodo della solidarietà. Da ricordare inoltre che ora devono essere stipulati dall’azienda attraverso contratti collettivi aziendali.

In linea generale la legge prevede che sia possibile modificare il contratto senza firmare un nuovo accordo nel caso in cui ci sia una minore riduzione di orario di lavoro (ad esempio se da 4 ore lavorative in meno a settimana si scende a 2, in questo caso non è necessaria una nuova firma).

Sempre secondo l’interpello del ministero, nel caso in cui il carattere strutturale del part time sia stato già valutato nell’accordo di solidarietà, è possibile dietro richiesta del lavoratore procedere a trasformare un rapporto di lavoro da tempo pieno a part time o viceversa. In questo caso le trasformazioni non devono apportare nessuna variazione nella percentuale di riduzione media oraria stipulata (ad esempio se la riduzione di un tempo pieno è del 10%, cioè 4 ore in meno a settimana, nella conversione a part time a 20 ore le ore in meno derivanti dovranno essere 2).

Quanto emerge da questo interpello è molto importante per tutti quei lavoratori impiegati in aziende con contratto di solidarietà difensivi (come ad esempio Tim/Telecom) che vogliono richiedere un part time che magari precedentemente era stato rifiutato.

Quando un contratto a progetto diventa lavoro subordinato

Tutti sanno che dal 1 gennaio 2016 le cosiddette co.co.co. hanno vita dura ma pochi conoscono le condizioni che, in caso di ispezione, fanno diventare un contratto a progetto un rapporto di lavoro subordinato.

In attuazione del Jobs Act lo scorso anno è stato varato il Dgls n. 81/2015 (Codice dei contratti di lavoro) che contiene importanti chiarimenti sulle condizioni che trasformano una collaborazione in un tempo indeterminato, cioè il contratto di lavoro dominante nel nostro ordinamento. Vediamo in dettaglio:

  • Prestazioni di lavoro esclusivamente personali: il lavoratore a progetto non deve avere un’organizzazione e non deve avvalersi dell’apporto di altri soggetti. Non può quindi essere considerato parte dell’azienda o avere dipendenti e collaboratori
  • Prestazioni svolte in via continuativa: il collaboratore non deve avere un impegno costante che si ripeta per un determinato arco di tempo
  • Prestazioni etero-organizzate dal committente: il lavoro non può essere svolto sottostando a determinati orari e in luoghi decisi dal datore di lavoro. Si deve essere liberi di decidere quanto e dove prestare la propria attività lavorativa

Nel caso quindi tutte e tre le condizioni elencate sopra non siano soddisfatte, ai contratti a progetto vengono applicate le tutele del lavoro subordinato: retribuzione, orario di lavoro, previdenza, ecc. E’ importante però sottolineare che questo accade solo nel caso tutte le indicazioni sopra siano rilevate dagli ispettori (per approfondimenti circolare n. 3/2016 del Ministero del Lavoro).

I datori di lavoro che vogliono stabilizzare i contratti a progetto prima di un’eventuale ispezione, possono utilizzare gli incentivi 2016 per l’assunzione a tempo indeterminato previsti dalla Legge di Stabilità, con notevoli vantaggi da entrambe le parti.

Esistono naturalmente delle collaborazioni che sono “salve” da un’eventuale riconduzione alla disciplina del lavoro subordinato:

  • le attività normate dai CCNL per esigenze produttive e organizzative
  • co.co.co per le quali è necessaria l’iscrizione ad un Albo professionale
  • le attività prestate negli organi di amministrazione e controllo delle società
  • le attività a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche
[Aggiornamento del 14/12/2017] Per i collaboratori a progetto le ferie vanno pagate: questo è quello che prevede una sentenza della Corte di Giustizia Europea. 
Cosa cambia per le partite iva dopo il Jobs Act

E’ finalmente arrivato il disegno di legge che prevede importanti novità sulle tutele dei lavoratori autonomi, professionisti e partite Iva.

Dopo i cambiamenti per i lavoratori dipendenti, ora il Jobs Act introduce cambiamenti, in gran parte positivi, per tutti professionisti che fino ad oggi erano rimasti fuori dalle modifiche introdotte nel mercato del lavoro dal governo Renzi.

Vediamo in dettaglio i punti del Ddl:

  • in caso di malattie gravi (oltre i 30 giorni) è prevista la sospensione del versamento dei contributi previdenziali per massimo 2 anni. Sarà poi possibile regolarizzare la posizione Inps rateizzando i versamenti fino ad un periodo di tre volte superiore alla durata della malattia
  • in caso di malattia, anche in gravidanza, ci si può assentare senza incorrere nella cessazione del rapporto di lavoro fino ad un massimo di 150 giorni   
  • non è possibile, da parte dei committenti, effettuare pagamenti di fatture ricevute oltre il termine dei 60 giorni
  • le spese di formazione e aggiornamento professionale sono interamente deducibili (non più a 50%) entro il limite di 10.000 euro annui. Sono escluse le spese di viaggio
  • le spese per i servizi per il lavoro sono interamente deducibili (non più a 50%) entro il limite di 5.000 euro annui
  • per le lavoratrici autonome in maternità non scatta l’astensione obbligatoria, possono continuare a lavorare beneficiando dell’assegno di maternità e alla nascita del bambino hanno diritto ad un congedo parentale di 6 mesi (utilizzabile entro i 3 anni di età del bambino)
  • per quanto riguarda i contratti, questi non potranno più essere modificati in modo unilaterale dal cliente che non può neanche più recedere senza preavviso

Il testo definitivo approvato dal Consiglio dei Ministri lo troverete sul blog non appena disponibile.

[Aggiornamento del 27/03/2017] Arriva il Jobs Act per il Lavoro Autonomo con importanti novità su maternità, pagamenti, malattia e molto altro.


[Aggiornamento del 29/01/2016] E’ stato approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge che ora attenda la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 

Il Pubblico Impiego e il nuovo articolo 18

Non c’è ancora una risposta definitiva al titolo del post ma secondo la Corte di Cassazione anche nel pubblico impiego devono essere previste le tutele crescenti e il nuovo articolo 18.

Tutto è nato dalla sentenza n. 24157 del 2015 che coinvolge un consorzio pubblico siciliano. La decisione presa dalla Cassazione non è poi così importante, ciò ciò che conta è come si sono pronunciati sul tema dell’applicazione del nuovo articolo 18: secondo i giudici infatti le nuove regole valgono anche gli statali.

In poche parola per i giudici della Cassazione ai dipendenti pubblici assunti dopo il 7 marzo 2015 si applicano le tutele crescenti che non prevede la reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato (es. giustificato motivo oggettivo) tranne nei casi in cui c’è “l’insussistenza del fatto materiale contestato”.

Quando entrarono in vigore le tutele crescenti ci fu un ampio dibattito e nessuno riusci a dare una risposta chiara alla domanda ripresa nel titolo: le tutele crescenti valgono anche per il pubblico impiego? Effettivamente nel decreto attuativo non si parla mai del “campo di applicazione” perché secondo molti esponenti del Governo il Jobs Act riguarda solo il privato.

Quando emerso allora è stato anche confermato dalle parole di Marianna Madia, Ministro della Pubblica Amministrazione, che dopo la sentenza del 26 novembre ha subito ribattuto che c’è stata una lettura parziale della sentenza, “il nuovo articolo 18 non vale nel pubblico e questo sarà chiarito nel testo unico del settore”.

Ad oggi però le parole della Madia rimangono senza fondamenti e la sentenza della Corte di Cassazione apre un importante interrogativo a cui dare risposta, anche perché il tema potrebbe interessare la Corte Costituzione relativamente alla disparità di trattamento tra pubblico e privato.

Dal progetto ad indeterminato

Anche nel 2016, come per l’anno in corso, chi stabilizza un lavoratore a progetto con un contratto a tempo indeterminato fruisce di numerosi vantaggi.

  • continua la cancellazione di tutti gli illeciti legati al collaboratore a progetto nel caso questo svolgeva mansioni da lavoro subordinato
  • valgono anche nel caso di stabilizzazione di un co.co.co. gli incentivi per l’assunzione previsti per il prossimo anno (3.250 euro per due anni)

Un doppio vantaggio quindi per tutti i datori di lavoro che dal 1 gennaio 2016, data che segna la fine dei contratti a progetto, trasformano un collaboratore a progetto o partita Iva in dipendente a tempo indeterminato. 

In dettaglio, le violazioni oggetto della sanatoria prevista dal Jobs Act in caso di stabilizzazione, sono quelle di tipo amministrativo, contributivo e fiscale. Restano fuori gli illeciti riscontrati durante le ispezioni fatte antecedentemente all’assunzione. 
Secondo il parere della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro è possibile per un datore di lavoro sfruttare entrambe i vantaggi elencanti sopra. Per il lavoratore, che spesso previene da anni di contratti a progetto indebiti, c’è l’eventuale consolazione di ritrovarsi con un contratto a tempo indeterminato (da ricordare sempre con tutele crescenti) ma senza più la possibilità di citare il datore di lavoro per gli inferiori contributi versati e i diritti che spettavano, come ferie e malattia.

[Aggiornamento del 14/12/2017] Per i collaboratori a progetto le ferie vanno pagate: questo è quello che prevede una sentenza della Corte di Giustizia Europea.


[Aggiornamento del 14/03/2016] Sul blog sono stati descritti in dettaglio i casi in cui un progetto diventa un indeterminato.