Contratto Lavoro

Licenziamento illegittimo

Con il passare degli anni e delle riforme del lavoro, il quadro delle sanzioni in caso di licenziamento illegittimo è molto cambiato. I due strumenti principali, la reintegrazione nel posto di lavoro e l’indennità economica si applicano in modo differente tra privato e pubblico e soprattutto per chi è stato assunto con la Riforma Fornero o con le tutele crescenti del Jobs Act.

Settore privato

  • Aziende con più di 15 dipendenti 
    • Assunti prima del 7 marzo 2015
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare) è previsto il reintegro nel posto di lavoro e un’indennità di massimo 12 mesi se il fatto non esiste oppure solo un’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità 
      • In caso di giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico individuale) o procedura di licenziamento collettivo è prevista solo l’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità 
    • Assunti dopo il 7 marzo 2015 (tutele crescenti)
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo è previsto il reintegro nel posto di lavoro e un’indennità di massimo 12 mesi se il fatto non esiste oppure un’indennità per ogni anno di lavoro pari a 2 mensilità con un minimo di 4 e un massimo di 24
      • In caso di giustificato motivo oggettivo (licenziamento economico individuale) o procedura di licenziamento collettivo è prevista solo un’indennità per ogni anno di lavoro pari a 2 mensilità con un minimo di 4 e un massimo di 24
  • Aziende con meno di 15 dipendenti
    • Assunti prima del 7 marzo 2015
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) è prevista, a scelta del datore di lavoro, la riassunzione o un’indennità compresa tra 2,5 e 6 mensilità (parziale incremento in caso di lavoratori con molta anzianità)
      • In caso di procedura di licenziamento collettivo non è prevista alcuna indennità
    • Assunti dopo il 7 marzo 2015 (tutele crescenti)
      • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) è prevista un’indennità pari a 1 mensilità per ogni anno di lavoro (minimo 2, massimo 6)
      • In caso di procedura di licenziamento collettivo non è prevista alcuna indennità
  • Licenziamento discriminatorio: in caso di licenziamento illegittimo dovuto a discriminazione politica, religiosa, sindacale, razziale, di lingua, orientamento sessuale o per matrimonio/maternità è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse meno i redditi percepiti nel frattempo

Settore pubblico

  • Licenziamenti prima della riforma del pubblico impiego (Madia)
    • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) o di procedura di licenziamento collettivo è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse meno i redditi percepiti nel frattempo
  • Licenziamenti dopo della riforma del pubblico impiego (Madia)
    • In caso di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (disciplinare o licenziamento economico individuale) o di procedura di licenziamento collettivo è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse con il limite a 24 mesi, a cui vanno eventualmente sottratti i redditi percepiti nel frattempo
  • Licenziamento discriminatorio: in caso di licenziamento illegittimo dovuto a discriminazione politica, religiosa, sindacale, razziale, di lingua, orientamento sessuale o per matrimonio/maternità è prevista la reintegrazione con il pagamento di tutte le retribuzioni perse meno i redditi percepiti nel frattempo
Falsi certificati medici

Come già accaduto in passato la Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento di un dipendente per falsa malattia attestata da un certificato medico.

Alla base di questa sentenza (n. 17113 del 16 agosto 2016) c’è l’utilizzo di un agenzia investigativa che ha portato una serie di prove (video, foto) che provano l’inesistenza della patologia certificata alla base dell’assenza per malattia.

Questo tema non è nuovo alla Cassazione che già l’anno scorso ha legittimato il licenziamento di un lavoratore (sentenza n. 10627 del 22 maggio 2015) che durante la malattia è stato trovato a lavorare in un’altra azienda, il tutto grazie all’utilizzo di un agenzia investigativa.

Quindi non è lecito controllare il lavoratore mentre svolge la propria attività lavorativa, come emerge anche dal nuovo articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori sul tema dei controlli a distanza. Ma nel caso di attestazioni mediche l’azienda può verificare la correttezza dei certificati utilizzando non solo gli accertamenti (visite fiscali) ma anche attraverso forme di controllo come le agenzie di investigazione per verificare l’esistenza della patologia.

Se, come nel caso citato, emerge la “simulazione fraudolenta dello stato di malattia”, il licenziamento per giusta causa è legittimo come confermato anche dalla Cassazione. A nulla è valso il ricorso che tirava in causa anche l’utilizzo di un agenzia investigativa: al di fuori dell’orario di lavoro possono essere utilizzate investigazioni che possano far emergere la falsità del certificato medico e quindi l’insussistenza della malattia stessa.

I criteri di licenziamento collettivo

E’ ormai una chiara tendenza del diritto del lavoro: nei procedimenti di licenziamento collettivo si predilige il criterio unico di prossimità al pensionamento, in poche parole l’anzianità anagrafica.

Tutto questo è confermato da alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione (n. 22914, 13794, 11690, tutte del 2015) che confermano la legittimità dell’età anagrafica come criterio unico di licenziamento nei procedimenti collettivi. Ci sono stati naturalmente dei ricorsi che si appellavano al principio di non discriminazione della legge n. 300/1970 (art. 15). In questo caso però i giudici hanno rigettato i ricorsi in quanto nel criterio unico non può esserci “discrezionalità dell’azienda e quindi non può essere  individuato nessun elemento discriminatorio”.

Per individuare i lavoratori oggetto di licenziamento collettivo la legge prevede dei criteri presenti nei contratti collettivi o nella legge n. 223/1991 che sono:

  • carichi di famiglia
  • anzianità di servizio
  • esigenze tecnico-produttive e organizzative

In linea generale, rispetto ai criteri individuati sopra, la tendenza delineata dalle ultime sentenze della Cassazione è chiara: identificare un unico criterio, ed in particolare quello di prossimità al pensionamento, non solo è possibile ma anche auspicabile in quanto tale metodo permette di individuare una graduatoria rigida e senza la possibilità di libera scelta da parte dell’azienda. 
Nonostante potrebbe sembrare discriminatorio andare a scegliere i lavoratori più anziani, in realtà questi subiscono il danno minore dal licenziamento in quanto prossimi alla pensione.



[Aggiornamento del 29/09/2016] Cambiano le regole dei licenziamenti collettivi dal 1 gennaio 2017: la mobilità viene sostituita dalla NASpI.

No al licenziamento per uso personale del PC aziendale

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 22353/15) è illegittimo il licenziamento in caso di utilizzo per scopi personali del pc, delle email o della rete aziendale durante l’orario di lavoro.

Questo tema è già stato affrontato dal Garante della Privacy e dalle regole di condotta previste nel vademecum che ogni dipendente dovrebbe, a nostro avviso, leggere. I confini ormai dei controlli a distanza, anche dopo la modifica dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, sono piuttosto ben definiti e lo stesso Garante si è più volte espresso sulle “garanzie di segretezza” di cui godono, per esempio, le email.

La Corte giustifica l’illegittimità del licenziamento perché è difficile quantificare a livello temporale l’utilizzo della navigazione internet e della posta elettronica e quindi il “danno grave” all’attività produttiva contestato al lavoratore viene meno.

Ciò che è interessante sottolineare in questa vicenda è cosa sarebbe accaduto se il lavoratore fosse rientrato nelle tutele crescenti del Jobs Act. Mentre nel caso discusso c’è stato il reintegro del lavoratore, la nuova disciplina prevede nel caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, soggettivo o per giusta causa, la conferma del recesso a fronte di un’indennità che viene calcolata in due mensilità per ogni anno di anzianità (per un massimo di 24 mesi).

Tuttavia nel caso il giudice riscontri, come in questo caso, l’insussistenza del fatto materiale dimostrata in giudizio, il datore di lavoro deve pagare le retribuzioni spettanti dal licenziamento fino alla reintegrazione (comunque non più di 12 mensilità) e il lavoratore può scegliere tra l’essere reintegrato nel posto di lavoro o farsi pagare 15 mensilità oltre al risarcimento appena citato.

[Aggiornamento del 19/06/2017] Visti i numerosi cambiamenti degli ultimi anni, sul blog abbiamo pubblicato un quadro chiaro delle sanzioni al datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, con e senza Jobs Act e dopo la riforma della pubblica amministrazione.

Periodo di comporto e malattia

E’ semplice, se si supera di 1 giorno il periodo di comporto si può essere licenziati. I giorni di malattia sono diversi per ogni CCNL ma il risultato nel caso di superamento della soglia è lo stesso, il licenziamento.

Ma questo non è l’unico caso in cui si può perdere il posto di lavoro per malattia. Ci sono altri casi che sono già stati affrontati, come il lavorare presso terzi quando si è malati o nel caso si arrivi ad uno scarso rendimento per malattia.

E’ bene però sottolineare un fattore importante che è emerso anche in una sentenza della Corte di Cassazione (n.20722/15). Il datore di lavoro dopo il superamento del periodo di comporto può licenziare ma anche riammettere il lavoratore.

Nel caso si riprenda il lavoro presso l’azienda (riammissione in servizio), questa in caso di ulteriori malattie del dipendente non può più utilizzare legittimamente il superamento del periodo di comporto come strumento per licenziare il dipendente.

Quindi se l’azienda non utilizza il potere di licenziare il lavoratore per il superamento della soglia prevista dal contratto e riammette il dipendente in servizio, non può poi successivamente utilizzare tale motivazione per un licenziamento, nel caso, per esempio, lo stesso dipendente necessiti di ulteriori periodi di malattia.

A partire dal 7 marzo 2015 è entrato in vigore il nuovo contratto a tutele crescenti che prevede un cambiamento radicale delle modalità di tutela in caso di licenziamenti di natura economica.

Abbiamo ricevuto molte email in cui il dubbio principale è: come faccio a riconosce questo nuovo contratto?

Deve essere chiaro a tutti i lavoratori che le tutele crescenti non è un nuovo contratto di lavoro previsto con il Jobs Act, nulla cambia rispetto ai contratti stipulati prima del 7 marzo. Non c’è infatti nessuna possibile “identificazione” relativa a questa nuova modalità e il normale format di assunzione che i lavoratori firmano prima di essere assunti non subisce alcuna modifica.

Ciò che cambia invece sono le tutele dietro il licenziamento economico che non prevede più il reintegro ma soltanto il risarcimento. Quindi nel caso di nuovi contratti a tempo indeterminato, conversione di un tempo determinato o apprendistato, non ci sarà nessuna speciale dicitura o clausola nel testo del contratto di lavoro, semplicemente tutte queste tipologie di contratto se stipulate dopo l’attuazione del decreto, seguono a tutti gli effetti le nuove modalità delle tutele crescenti.

Per chi volesse maggiori informazioni può leggere il Decreto Legislativo n. 23/2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2015.

Nel contratto di apprendistato i termini per il preavviso dimissioni variano in base al tipo di contratto che si è firmato. In poche parole la durata del periodo di preavviso è determinata dalla contrattazione collettiva ma può essere modificata in caso di accordo tra le parti.

Quindi prima di chiedervi quanti giorni di preavviso per le dimissioni avete per il vostro contratto di apprendistato, dovete scoprire che tipo di CCNL avete? In linea generale nell’apprendistato valgono i stessi termini di preavviso dimissioni e licenziamento del normale contratto.

Esempio – Contratto Commercio
L’apprendistato nel commercio ha determinati termini di preavviso che vengono calcolati in base anche alla durata massima del contratto.

Esempio – Contratto Metalmeccanici
Nel caso invece di apprendistato con il contratto metalmeccanici, vale la stessa regola del commercio. Una volta che si conosce il livello, basta controllare la tabella (alla voce “fino a 5 anni…”) del preavviso dimissioni dei metalmeccanici per scoprire i giorni di preavviso per le dimissioni che di solito, in questi casi, sono tra i 7 giorni e 1 mese e mezzo.

Naturalmente il periodo di preavviso può essere sostituito dall’indennità di mancato preavviso: questa somma deve essere calcolata sulla base della retribuzione che spetta al lavoratore al momento della recessione del contratto.

Esistono però dei casi di esclusione, cioè delle situazioni dove l’obbligo del preavviso non sussiste:

  • Risoluzione per giusta causa
  • Risoluzione durante il periodo di prova
  • Recesso per scadenza del contratto
  • Risoluzione consensuale

Vi  sono poi alcuni casi in cui l’indennità sostitutiva del preavviso è sempre dovuta dal datore di lavoro:

  • Morte del lavoratore
  • Dimissioni per giusta causa
  • Dimissioni della lavoratrice madre
  • Dimissioni per matrimonio
  • Licenziamento illegittimo
  • Risoluzione per fallimento o liquidazione dell’azienda

E’ importante sottolineare anche che l’eventuale preavviso decorre dal termine del periodo di formazione, durante il quale non è possibile dare le dimissioni o licenziare tranne che nei casi di giusta causa o giustificato motivo.

Sul blog si trovano anche le informazioni su:

Le norme che regolano i licenziamenti collettivi si applicano alle imprese che abbiano occupato più di 15 dipendenti negli ultimi 6 mesi e che, a seguito di una riduzione o cessazione dell’attività, effettuino almeno 5 licenziamenti.

Questi licenziamenti devono avvenire nell’arco di 120 giorni in ciascuna unità produttiva o in più unità nella stessa provincia. I requisiti per il licenziamento collettivo sono quindi:

  • licenziamenti di almeno 5 dipendenti in imprese con più di 15 dipendenti nell’arco di 120 giorni
  • i licenziamenti devono essere motivati da esigenze di riduzione o cessazione dell’attività
Per avviare i licenziamenti è necessario che l’azienda fornisca comunicazione scritta alle rappresentanze sindacali e associazioni di categoria, senza la quale c’è l’inefficacia della procedura. La comunicazione deve contenere:

  • i motivi della situazione di eccedenza 
  • i motivi per i quali non si può adottare misure volte ad evitare il licenziamento collettivo
  • il numero, la collocazione e i profili in eccedenza
  • i tempi di attuazione del programma di riduzione, con obbligo del preavviso da parte dell’azienda
  • eventuali misure per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dei licenziamenti
Al termine di questa procedura l’azienda deve versare, per ogni lavoratore licenziato, una somma pari a:
  • 6 volte il trattamento iniziale netto di mobilità spettante al lavoratore in 30 rate mensili, se il licenziamento è avvenuto dopo la fruizione della Cigs
  • 9 volte il trattamento iniziale netto di mobilità, nel caso la riduzione di personale è avvenuta senza aver prima utilizzato la Cgis
In entrambe i casi la somma da pagare è ridotta di 3 mensilità se la messa in mobilità avviene previo accordo sindacale.

Per quanto riguarda il ricorso per licenziamento, si applicano i termini di impugnazione previsti dall’art.6 della L. n.604/66 e dunque questo dovrà essere impugnato in via stragiudiziale entro 60 giorni e l’azione in giudizio andrà poi proposta entro i successivi 180 giorni. Il lavoratore è bene che conosca anche i cambiamenti introdotti al licenziamento illegittimo.

[Aggiornamento del 19/06/2017] Visti i numerosi cambiamenti degli ultimi anni, sul blog abbiamo pubblicato un quadro chiaro delle sanzioni al datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, con e senza Jobs Act e dopo la riforma della pubblica amministrazione.


[Aggiornamento del 29/09/2016] Cambiano le regole dei licenziamenti collettivi dal 1 gennaio 2017: la mobilità viene sostituita dalla NASpI.

I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sono individuati dall’articolo 3 L. n.604/66 in quelli determinati da ragioni legate all’organizzazione del lavoro, all’attività produttiva e al suo regolare funzionamento. La novità, di cui parleremo sotto, è relativa alla reintroduzione con la Riforma del Lavoro 2012 del tentativo obbligatorio di conciliazione per questo tipo di licenziamenti.

All’interno del giustificato motivo oggettivo si possono distinguere i licenziamenti per “motivi economici” dalle altre ipotesi e cioè:

  • i licenziamenti per superamento del periodo di comporto, ovvero il lasso temporale nel quale il dipendente ha diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia o infortunio. Oltre a tali motivi, una sentenza (09/2014) della Cassazione ha affermato che in caso di scarso rendimento dovuto alle eccessive malattie, il datore di lavoro può procedere al licenziamento
  • il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica permanente allo svolgimento delle mansioni: in questo caso il licenziamento avviene solo quando debba escludersi la possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività lavorativa riconducibile alle mansioni già assegnate, o altre equivalenti e, subordinatamente, a mansioni inferiori (demansionamento)
  • la risoluzione del rapporto nel caso sul lavoratore pendano provvedimenti di restrizione della libertà personale (carcerazione)
  • il licenziamento per perdita di titolo abilitativo (si pensi alla revoca della patente di guida per gli autisti); situazioni che di fatto non consentono al lavoratore di svolgere la propria attività lavorativa, anche in caso di evento estraneo al rapporto di lavoro e non imputabile al dipendente
Come detto sopra, tra le novità della riforma, c’è l’obbligo del tentativo di conciliazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per datori di lavoro con più di 15 dipendenti. Questa nuova procedura prevista dalla riforma, non è prevista per il licenziamento per giusta causa ma deve essere applicata in tutti i casi visti sopra di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (economici e non).
Quindi il datore di lavoro deve comunicare alla Direzione Territoriale del Lavoro “l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato”.

[Aggiornamento del 19/06/2017] Visti i numerosi cambiamenti degli ultimi anni, sul blog abbiamo pubblicato un quadro chiaro delle sanzioni al datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, con e senza Jobs Act e dopo la riforma della pubblica amministrazione.

Per la lavoratrice madre vale il divieto di licenziamento per maternità, dall’inizio della gravidanza fino al compimento di 1 anno di vita del bambino. Tuttavia ci sono alcune ipotesi in cui questo divieto non è attivo.

Prima di entrare nei dettagli è bene sapere che tutte queste normative relative al licenziamento prima e dopo la maternità si possono trovare nel decreto legislativo n.151 del 26 marzo 2001 e più precisamente nell’articolo 54 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità).

Il divieto di licenziamento vale a prescindere che il datore di lavoro sia o meno a conoscenza dello stato di gravidanza. Nel caso in cui la lavoratrice si attardasse nell’invio della documentazione che attesti lo “stato interessante”, il divieto resta operativo, ma ci potranno essere delle conseguenze di caratteri risarcitorio a danno della lavoratrice (perdita eventuale di mensilità).

Il licenziamento intimato in violazione del divieto appena spiegato, non è considerato semplicemente ingiustificato e/o illegittimo ma è punito con la più grave sanzione della nullità, un po’ come accade per il divieto di licenziamento per matrimonio.

Come detto però esistono alcune ipotesi di colpa grave della lavoratrice, superiori alla giusta causa (art. 2119 del codice civile) per i quali è possibile procedere al licenziamento prima e dopo la maternità (ad esempio vedi la sentenza della Suprema Corte n.14905 del 5 settembre 2012).

[Aggiornamento del 19/06/2017] Visti i numerosi cambiamenti degli ultimi anni, sul blog abbiamo pubblicato un quadro chiaro delle sanzioni al datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, con e senza Jobs Act e dopo la riforma della pubblica amministrazione.